Una storia di paese a 28 millimetri
Qualche volta ho provato a raccontare come un paese possa morire.
Le pugnalate che gli uomini nel tempo possono infliggergli sono tante e di diverso tipo.
In questi giorni penso a come sia forte l’odore del sole d’estate impregnato alle finestre con i vetri rotti in qualche via abbandonata dei nostri rioni antichi, o a come la sua luce intensa si stenda su molte delle pietre usurpate da mani violente.
Penso pure a tutta la polvere che si è accumulata sulla memoria dei nostri Padri, quando sfoglio le pagine della Fisica Appula di Manicone o quelle de La figlia di Maso di Maselli.
Abbiamo preferito il cemento, siamo stati vinti dalle tarme e dalla muffa, abbiamo abbandonato i pastori, non sentiamo più il rumore degli zoccoli dei muli.
Ma la bellezza non ci ha ancora abbandonati, non è scappata per sempre.
È lì. Si è fatta piccola piccola, a tratti anche millimetrica, ma c’è.
La puoi ancora toccare, puoi girarle intorno, puoi vederla ancora diroccata in una piana, puoi sentirne l’odore, puoi anche vederla camminare per le strade. Con la bellezza ci puoi parlare, a volte la vedi con un grembiule seduta davanti all’uscio di casa, altre volte mentre impasta acqua e farina, altre mentre canta, altre ancora mentre si fa in quattro per mettere su qualcosa per tutti.
La bellezza è silenziosa. È coraggiosa. Resiste.
Ed è qui che trovo la storia di Pasquale D’Apolito che ha deciso di aprire il suo Studio fotografico alle porte del Centro Storico di Vico del Gargano, nel cuore del Parco Nazionale del Gargano.
Riesco a strappargli di bocca qualche parola, perché preferisce raccontare il tempo con la sua macchinetta che porta sempre appesa al collo, come se fosse una sua appendice naturale, e lo zainetto sulle spalle.
Pasquale ha scattato la sua prima fotografia a sei anni con la Pentax MX analogica del padre. Il suo soggetto preferito era il nonno. Non appena suo padre usciva di casa cominciava a frugare nei suoi cassetti alla ricerca delle foto migliori da collezionare. Ma quello non era solo un gioco, perché Pasquale, terminato l’ordinario corso degli studi, se ne va alla John Kaverdash di Milano e poi consegue un master in reportage alla Luz Photo Agency. Un passaggio a Palermo impegnato in un collettivo di foto giornalisti, ed eccolo qui in corso Umberto pronto a realizzare l’idea di uno studio che giorno dopo giorno prende forma e nome, quello di ‘Studio 28 millimetri’, come quello del suo obiettivo preferito, quello che per poter fare una fotografia devi essere molto vicino al soggetto, percependone ogni tratto, ogni ruga, come se un occhio guardasse un altro occhio cogliendone ogni elemento. La fotografia per Pasquale è fonte di felicità, oltre che continua ricerca e sperimentazione, si percepisce quando lo guardi scattare una foto. “Mi fa sentire vivo e utile”, mi dice.
Ecco, questa è la storia che si può leggere dietro un’insegna, una storia che nasce lontano, e che qui si è messa a scrivere un’altra pagina, orientandosi tra i millimetri di un grandangolo pronta a raccontare la nostra terra. Di fronte a chi, come Pasquale, ha deciso di mettere su “bottega” in un paese, provo profondo senso di ammirazione.
È vero, un paese può morire in diversi modi, ma è anche vero che un paese può provare a non morire.
Quali storie rendono un paese vivo? Questa storia è una di quelle.
Credo così che le storie come questa vadano raccontate, lette e sostenute; sono queste le storie che celebrano la parte migliore di noi, la parte che non si arrende, quella che crea, custodisce; così penso agli “artigiani” – nel senso più ampio e metaforico del termine – di questo territorio stretto intorno dal mare, come Francesco o Paolo giovani falegnami, Pasquale e Vincenzo con la loro tabaccheria a San Menaio, Andrea il fabbro, Maria e le sue tele, Leonardo e Martina con il loro ristorante, Ileana e l’agenzia di viaggi, e poi Grazia e la stanza del sale e altri ancora, tutti con un nome, tutti con una storia da raccontare.
Penso alle loro e alle altre storie sparse nei vicoli del Gargano, con le luci delle “botteghe” sempre accese, come dei fari in mezzo al mare, che tra mille tempeste provano a tracciare una rotta.
Di Francesco A. P. Saggese
A 28 millimeters story of a village
Sometimes I have tried to tell how a village can die.
There are stab wounds of different kind that men inflicted over the time.
In these days, I wonder how the smell of summer sun is impregnated in the windows with broken glass in some abandoned street of our ancient wards, or how its intense light shines on the stones usurped by violent hands.I also think of all the dust that has accumulated on the memory of our Fathers when I browse the pages of Physics Appula of Manicone or those of Maso’s Maselli’s daughter.We preferred the cement, we were defeated by mildew and moth-eaten, we abandoned the shepherds, we no longer hear the noise of the mullet hooves.
But beauty has not left us yet, it has not run away forever.
It’s there. It was small, sometimes even miniscule, but it still exists.
You can still touch it, you can spin around it, you can still see it scattered on a plain, you can smell it, you can also see it walking along the streets. With the beauty you can talk to, sometimes you see it wearing an apron sitting in front of the doorway, sometimes it blends water and flour. In some cases, you can see it singing, while sometimes it is doing its best to arrange something for everyone.
Beauty is silent. It’s courageous. It resists.
Here is the story of Pasquale D’Apolito who decided to open his photographic studio at the gates of the historic centre of Vico del Gargano, in the heart of the Gargano National Park.
I can rip just a few words from his mouth, because he prefers to tell his story through his machine that always hangs on his neck, as if it were a natural appendage, and his backpack.
Pasquale took his first photo, when he was six with his father’s Pentax MX analogue. His favourite subject was his grandfather. As soon as her father left home, he began to look into her drawers looking for the best photos to collect. That was not just a game, because, after finishing his studies, Pasquale went to the photo school John Kaverdash of Milan and then got a master degree at the Luz Photo Agency. He moved to Palermo committed to a collective of photo journalist. Then, he went back to Umberto boulevard in Vico del Gargano, ready to realize the idea of a studio, that day after day took shape and name: of ‘Studio 28 mm, like his favourite lens, that forces you to be very close to the subject, in order to make a photograph, and makes you perceive every stretch, every wrinkle, as if one eye looked at another eye, grasping each element.
Photography for Pasquale is a source of happiness, as well as a continuous research and experimentation, and you can understand it when you look at him taking a picture. “It makes me feel alive and useful,” he tells me.
This is the story that can be read behind a sign of a shop, a story that was born far away, and that has begun to write another page, orienting itself between the millimeters of a wide angle lens, ready to tell the beauty of our Earth. I feel a deep admiration towards those people like Pasquale, who decided to open a shop in a small village.
That’s true, a small village may die in different ways, but it is also true that it can try not to die.What stories make a country live? This story is one of those.
I think stories like this must be told, read and supported; these are the stories that celebrate the best part of us, the part that does not give up, the one who creates it. I think about the “artisans”, in the broader and metaphorical sense of the term, of this area close to the sea, like Francis or Paul young carpenters, Pasquale and Vincenzo with their tobacconist in San Menaio, Andrea the blacksmith, Maria and her paintings, Leonardo and Martina with their restaurant, Ileana and her travel agency, and then Grace and Salt Room and others. Everyone with a name and with a story to tell.
I think about all of them and about the other stories hidden in the alleys of the Gargano, with the lights of the “always-lit” shops, like lighthouses in the middle of the sea, which in a thousand storms try to trace a course.
by Francesco A.P. Saggese